Il genitore che ritira il figlio dalla scuola non deve pagare l’intera retta annuale

09 maggio 2017

Il caso. Lo ha enunciato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10910/17 del 5 maggio, accogliendo le ragioni di una donna che si era opposta al decreto ingiuntivo con cui l’istituto scolastico, presso cui aveva iscritto il figlio, le aveva richiesto il pagamento dell’intera retta annuale; ciò nonostante avesse revocato l’iscrizione e ritirato il bambino prima che iniziasse l’anno scolastico.
Avverso il decreto opposto, la donna invocava l’applicazione della disciplina a tutela dei consumatori, deducendo la vessatorietà di talune clausole contrattuali, in quanto a suo dire determinanti un significativo squilibrio tra il consumatore ed il professionista. Il Tribunale disattendeva dapprima la censura, sostenendo, al contrario, la non vessatorietà di clausole che, come nella specie, contemplassero l’obbligo del genitore contraente di corrispondere l’intera retta anche in caso di abbandono o non frequenza della scuola. Il riconoscimento, a favore del professionista, del diritto di trattenere somme versate a titolo di corrispettivo per prestazioni non erogate – secondo i Giudici di primo grado – avrebbe potuto assumere carattere vessatorio solo in caso di recesso dello stesso professionista; non anche quando a recedere fosse stato il consumatore.
Verdetto tuttavia capovolto dalla Corte d’appello, che riteneva la suddetta clausola vessatoria, dunque invalida, in relazione all’art. 33, comma 3, cod. consumo; soprattutto se confrontata con la clausola successiva, che contemplava la possibilità per l’istituto di sottrarsi all’obbligo di rendere le proprie prestazioni in caso di mancato raggiungimento del numero idoneo per la formazione delle classi.

Vessatoria la clausola che sanziona indiscriminatamente il recesso dell’allievo. Del medesimo avviso la Corte di Cassazione – cui era ricorso l’istituto scolastico - secondo la quale, correttamente, si è riconosciuta la natura presuntivamente vessatoria della clausola contrattuale che sanzioni indiscriminatamente il recesso dell’allievo, assistito o meno da un giustificato motivo. Per di più quando, come nel caso di specie, la somma dovuta dall’allievo in caso di recesso (che viene sostanzialmente ad integrare una penale), non trovi riscontro in un’analoga sanzione a carico del professionista.

Squilibrio contrattuale: trattamento differenziato e migliore per la scuola. Una simile clausola difatti, sostengono gli Ermellini, riserva implicitamente al professionista (la scuola) – che in applicazione dei principi generali in materia contrattuale va dunque a rispondere solo in caso di recesso colpevole – un trattamento differenziato e migliore, in contrasto con l’art. 1469-bis. c.c., oggi corrispondente alla lett. g) dell’art. 33 cod. consumo.
Respinto dunque il ricorso della scuola, la stessa è condannata al pagamento delle spese di giudizio.

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